Augusto Pieroni

04/02/1998
“21st CENTURY SCHYZOID MAN” intorno al lavoro di Loris Cecchini, in N. 1 Numero Uno. Periodico del Palazzo delle Papesse centro arte contemporanea. Siena.
Dev'essere ben chiaro che a noi oramai è estranea la rappresentazione del "mondo della vita" come un contenuto autentico, impregiudicato che sta al di là delle elaborazioni ad opera di linguaggio e cultura.
(A. G. Gargani)

Distopia del discorso critico
L'opera d'arte si presenta come un lampo lungo. Pur se immediata e flagrante, si apre alla nostra coscienza lentamente, spesso esasperantemente; ci invade con le contraddizioni del e -
sempre più spesso - nel suo linguaggio. Eppure questa illuminazione rimbalza sulle pareti della nostra coscienza portando una luce riflessa a recessi impensati. In questo la particolare durata del suo lampo. L'opera ci lusinga nelle parti più nobili con il suo valore esemplare, paradossale per il fatto di essere assolutamente individua pur se circondata da altre e da "altro". Così in prospettiva sintetica, discendente, l'opera può porre insieme ricerca e humour, logica e apparenza, critica e mimesi, utopia e arredamento, volendo.
Studiare ma soprattutto testimoniare della frequenza e dell'attenzione al lavoro di un artista significa privare tale lavoro della sua irrinunciabile frontalità; essenzialmente comporta una sua scomposizione in elementi a loro volta complessi, un procedere parallelo di ekphrasis e di écriture, attenendo entrambe a fini per non essere fini esse stesse. Il fine è un comunicare contesti di riferimento; mai giustificazioni o "spiegazioni" dal momento che spiegazione esterna è ogni indizio che ci ponga sulle tracce confuse dell'opera. E interna è ogni congerie di fatti che possono di poco avvicinarci, quanto allontanarci, dal nostro stesso concordare o discordare
inaugurale con l'opera2.
E tuttavia se ne scrive. Ma lo spazio operativo, funzionale, di una scrittura filosofizzante sarebbe lo stesso dell'arte posta come filosofia, come risalimento e pratica dell'interrogazione, owero: nessuno. Perciò, declinati i confini dell'estetica sui cui bordi viaggiano le mie peregrinazioni, eccoci in viaggio attorno alle opere di Loris Cecchini in una raccolta di termini di riferimento, assaggiature analitiche e analogie metaforiche che non procedono a dimostrare una teoria su simili lavori, ma che li "illustrano così" 3.

Estetica schizofrenica: sintomi e stile
Come sottolineava Mario Perniola qualche tempo fa, è perfino d'ingombro pensare ad uno stile post-moderno, in quanto si porrebbe come un assurdo step ulteriore nello scalarsi diacronico della modernità 4: una specie di sua liminare modalità, il suo grado zero o Xerox 5.
E però siamo abituati a intravedere attraverso l'etichetta culturale del Postmoderno una serie di costrutti alla moda, o fuorimoda, tipici magari della temperie estetica tardi anni ottanta: dunque citazionismi, pittura fredda, design cinico;
o magari tutta la cybercultura.
Epoca del tutto in essere e per nulla stilizzabile, come lo sono invece le mode artistiche del pre-recessione, la post-
modernità è invece un divenire che non prevede la liquidazione di un cliché e il trionfo di un altro. In questo fiume della diacronia evolutiva che si è fatto mare della sincronia eterotopica, si fanno e disfanno progetti, proposte, costrutti che sempre più somigliano all'epoca storica in allontanamento dalle utopie del moderno, dai massimalismi, dalle impegnate adesioni dell'invenzione formale ai principi regolativi della ragione e dell'etica.
Verificato che l'interscambio fra arti e pubblici è un commercio di codici, in una simile fase l'arte risponderebbe insomma, attraverso una mimesi scongiuratoria, alla mortifera seduzione "acuta e metafisica dell'abolizione del reale"6. E tuttavia un'intensa nostalgia per le cose vere percorre le stesse pagine di Baudrillard - il cui pensiero esiste in quanto presuppone la possibilità, negata, di uno scambio non simbolico - così come le infiammate teorizzazioni di Hakim Bey che dal network vuole solo "informazioni collegate alla roba vera"7, a cose pratiche che non filtrino dal sistema mediocre e massificato.
Il prevalere della finzione sulla funzione, dei giochi linguistici sulle metateorie - perfino della patafisica sulla metafisica 8 - non sono affatto indizi di stile, sono essi stessi sentieri verso stili. Il molteplice e il non-definitorio sono sintomi prima ancora che segni. Sintomi di uno scollamento irrimediabile fra i sistemi di produzione del valore e realtà materiali10. E tuttavia Paul Virilio, commentando le estremistiche posizioni baudrillardiane relative al totale sopravvento della simulazione sulla realtà, nega che si sia passata una soglia che irrimediabilmente ci allontana dal reale: Virilio ama parlare di "sostituzione" piuttosto che di "simulazione" 10. Una specie di schizofrenia coglie allora l'uomo del nostro tardo XX e maggiormente del XXI secolo, alle prese con la realtà materiale e insieme con un'altra - non necessariamente analoga - virtualizzata: entrambe unificate in una "stereo-realtà" 11.
A questa incapacità di situare le proprie radici, a questa "de-localizzazione"12, l'essere vivente uomo risponde e si adegua aprendo il proprio senso del vero ad intromissioni pulsionali. Il ricordo della realtà non materiale si colora di aggiunte fantastiche, il senso di ciò che è veramente stato, in mancanza spesso del qui-ed-ora, si anima di proiezioni drammatizzate13. Il tempo-reale precede in rilevanza lo spazio reale; la telesorveglianza stinge sulla televisione 14.
La modellizzabilità della realtà è definitivamente posta in crisi dalla coessenzialità del gioco. Gioco che è play nel triplice senso di ricerca destrutturata, di messinscena e di attività ludica 15. Come in Lewis Carroll, come in René Magritte, come in Ludwig Wittgenstein, come in Jorge L.
Borges, come in Philip K. Dick. Così - in modo senz’altro peculiare - nei lavori di molti artisti delle giovani generazioni, come Loris Cecchini: i piani di realtà scivolano gli uni negli altri, anzi coesistono gli uni immanenti negli altri.

Intermission
Voglio credere che il mio discorso - surrogata la flagranza delle opere con qualche buona riproduzione - appaia poggiarsi sullo stesso terreno da cui cresce il lavoro di Cecchini. In questo senso la scrittura - né battistrada né gregario - gioca lo stesso gioco dell'opera e la fiancheggia in un riflusso di engagement intellettuale.

Il fotografico transgenico
Luca Pancrazzi in un suo testo, anch'esso attorno al lavoro di Cecchini 16, si chiedeva se ciò di cui noi non facciamo esperienza diretta esista poi realmente, temendo che in quel caso la nostra potenziale appartenenza a tutto ciò che non facciamo eroda ciò che siamo mentre viviamo la nostra vita. Nel lavoro di fotomontaggio elettronico o anche in quello installativo Loris Cecchini rende attivo un principio di finzione esplicita benché verosimile che instaura un moto dinamico dall'una all'altra realtà, sempre sottolineandone l'imprendibilità. Il vero (le foto di personaggi qualunque) diviene irreale, marcato com'è dall'autoevidenza della tecnica; il falso (i giocattoli) diviene geografia convenzionale, sistema di affidabile riferimento.
Analogamente a ciò che scriveva Pancrazzi, gli scenari di Ubik in Philip K. Dick, esistono solo mentre i protagonisti li percorrono e costano al loro creatore uno sforzo produttivo quanto più estesi e complessi essi sono. Ma è poi il mondo del Truman show di Peter Weir: verosimile e funzionante sempre e solo fintantoché esso debba accadere attorno al protagonista di un dramma massmediato. "La sfida non è fra umano e inumano -glossa Lyotard - ma fra entropia e neghentropia"17. E le installazioni interattive di Cecchini mettono in atto un proteiforme mondo fictional che è vero solo mentre esso è osservato dal punto di vista della telecamera o dell'obiettivo fotografico. A seconda che ci riferiamo alla formalità o al tema, vedremo ora un commercio esplicito di finzioni con il pubblico che sa di riceverle, e che conosce il mezzo che le veicola, ora un teatrino della crudeltà e dell'assurdo. Perec e Beckett.
Cecchini, lo notiamo per inciso, fa evidentemente parte di una generazione recente che opera in modo totalmente disinvolto con logiche fotoelettroniche; è quella generazione che Jeff Wall definiva della "lente-otturatore"18 e che percepisce il mondo come testo visivo. Ma forse proprio perché, come il più maturo maestro canadese, Cecchini usa il fotomontaggio elettronico, a quello della lente-
otturatore va aggiunto un altro decisivo imprinting che è quello dell'elaborazione digitale dell'immagine; mutazione genetica del "fotografico" nel senso di indice secondo la Krauss e in quello di archeologia istantanea della Sontag 19. Mutazione che riporta tutto il discorso cibernetico (altrimenti planare, jouissant, dedito al cut-up) di nuovo alla radice: alla pittura fictional della tradizione occidentale. Agli Old Masters.

Simulacro e vertigine: il verosimile fra parentesi
Realtà e pensiero, verosimiglianza e modello: pensiamo al ricettario tardo trecentesco del Cennino Cennini - la lingua parlata da Cecchini è il toscano anche se le sue opere sono europee di nascita - che per far le rocce suggerisce di copiare ingrandendola una bella pietra scagliosa. La dice lunga. E ripensiamo anche alla finzione realistica di Lorenzetti di Palazzo Pubblico, proprio qui, a Paolo Uccello e all'Alberti: alla commistione tutta pre raffaellesca di valori di superficie - una planarità ancora gotica - insieme alla convenzionalità protomodernista del campo lungo. Alla "composizione" nel senso pieno del termine. Teatro.
Sintesi di esemplarità ed effusione; di etica ed estetica. In questa messinscena esatta e assurda del verosimile, la sensazione è di trovarsi gettati in una scenografia surrealista, dove l'incontro fortuito di un ombrello e di una macchina da cucire su un tavolo operatorio... E però, se nel risalimento utile alla lettura del lavoro di Cecchini bisogna - e si deve - ripescare anche dal patrimonio del moderno, allora ecco venirci in aiuto le atmosfere del teatrino metafisico, semmai protosurreale e - per via di citazione - ancora sulle tracce dei maestri antichi. La finzione della rappresentazione è talmente esplicita, in senso tecnico-formale e in senso narrativo, da rendere fondamentale il gioco all'interno del quale interviene l'artefatto e non le sola e irriflessa figura o il solo e irriflesso artista in opera. Esiste insomma una specie di piano metanarrativo 20 che coglie le figure e le loro condizioni di possibilità entro la stessa immagine: in De Chirico, in Morandi, in modo sommamente filosofico nell'opera di Magritte.
La farmacia di Ubik, non virtuosismo ma snodo drammatico del plot, è così qui e ora (in rovina, disabitata, inutilizzabile) ma allo stesso tempo non più così non più qui né ora (ancora intatta, attiva) solo appena fuori fase con lo spazio-tempo del protagonista; in tal modo la pagina, la scrittura, è rivelata ma non destituita di senso. Il mondo del Truman Show è il mondo della vita - stando al Wittgenstein del Della certezza - e contemporaneamente non lo è, ma così la finzione è in qualche modo vista da fuori, pur se mai smantellata. Ecco, in quel "dal di fuori" il piano sul quale poggiano l'artista e il suo pubblico. Cecchini e noi. Dialettico entrare ed uscire dal dentro al fuori; dall'intentio auctoris all'intentio operis 21, dal produrre e intendere all'apparire e comparire.
Queste scatole cinesi di interiorità ed esteriorità sono la messa in figura del paradigma dell'indeterminatezza - da Heisenberg (1927) in avanti linfa della caduta verticale del modernismo, dei metarécits e delle certezze positive - e non per nulla un filo rosso lega la cultura lisergica di Dick alle teorie dei mondi paralleli della fisica quantistica. La stessa teoria dell'indeterminatezza regola la filosofia terroristica di Baudrillard, il quale dichiara la necessità di una risposta perfino patafisica 22 al dogma dei paradigmi, all'irreversibilità del valore simbolico. Se tutto ciò mina alla base la sola pensabilità di un mondo della vita non costruito dal linguaggio, dalla cultura, quel che resiste tuttavia è il piano del racconto: il tale: la pagina, per quanto apocrifa, in Borges, in Carroll e Dick, la tela dipinta in Magritte, l'interrogazione per immagini in Wittgenstein, il metateatro che annulla le quinte e svela le tecniche. Nella rovina dei metarécits resiste il piano del récit. La fiction autoimposta anche nello sperdimento dell'lo: le droghe psicotrope vanno comunque a espandere e moltiplicare una singola coscienza narrante.
E' questo un fenomeno noto alla narrativa contemporanea, come ha notato Paola Splendore 23 pur nascendo sulla stessa terra che ha visto crescere i no-copyright e le firme collettive come quella di Luther Blisset. Autografo o apocrifo è solo questione di differenti gradienti di resistenza all'entropia 24.
E proprio l'entropia urbana, la rovina architettonica come orizzonte estetico, l'emersione dei non-luoghi come nuovi scenari dell'esistenza metropolitana 25, sono un leitmotiv del quale Cecchini si avvale come di un repertorio di figure, di nonluoghi comuni - se così si può dire - nei quali compare trionfante il pulsionale, perfino l'infantile giocattolo: la macchinina, l'alberello di plastica traslucida, sabbia, cartoncini. E come un nuovo Pascali che pone il suo mediterraneo in iperreali tombini di cemento, Cecchini si trova a porre in atto il proprio ludico experimentum mundi 26, a ri-creare orizzonti veridici come cantieri e periferie polverose nelle quali passeggia la vacanziera comparsa di una favola surreale. Tutto iperevidente, iperreale, "segni bianchi, segni vuoti, che esprimono l'anti-solennità, l'anti-rappresentazione sociale, religiosa o artistica” 27.
Più chiaro di un simbolo, finto ma più vero del vero.
Prendiamo ormai per vera la stessa televisione-verità, scandalosamente fictional. Ecco perché il falso è bello come fosse vero e il vero è bello come fosse falso. L'uomo apprezza esteticamente la simulazione e la ripensa come soglia critica: è la vertigine del simulacro28. In quel che ha di antico e di futuribile, come anche nel profondo valore di pensiero sul qui-e-ora, Loris Cecchini può incarnare la figura di "scienziato della libertà" secondo la definizione beuysiana di Tomàs Maldonado 29. Un essere vero che, dal cuore della finzione, con ogni mezzo cerca di somministrare a sé e al proprio pubblico la giusta dose del farmakos 30 dell'inautenticità.

NOTE
1 A. G. Gargani, "La macchina mondiale del freddo", p. 129.
2 "Solo l'opera ci può dire che cosa sia l'arte" scriveva Heidegger pensando sia alla sua caratteristica materiale, sia al suo statuto ontologico. Cfr. M.
Heidegger, Sentieri interrotti, p. 4.
3 Seguo qui in modo volutamente didascalico il dettato wittgensteiniano sul valore sempre liminare dell'osservazione analitica. Cfr. L. Wittgenstein,
Tractatus logico-philosophicus, § 6.54, p. 82. Relativamente all'opera di Loris
Cecchini, per un tentativo ben più militante e sintetico mi permetto di rimandare al mio testo "Loris in Wonderland" (v.).
4. M. Perniola, Transiti, p. 162.
5. J. Baudrillard, La sparizione dell'arte, p. 21.
6 JBaudrillard, Della seduzione, p. 67.
7. H. Bey, T.A.Z., p. 30.
8. D. Harvey, La fine della modernità, p. 415.
9. Cfr. J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte.
10. L. Wilson, "interview with Paul Virilio".
11. C. Oliveira, "Paul Virilio in conversation" (1995) e P. Virilio, "Red alert in cyberspace".
12. Ibid.
13. Cfr. P. Virilio, Estetica della sparizione, passim. Ricordiamo che è considerata in tempo reale l'interazione informatica che awenga entro la soglia dei due secondi; dopodiché la coscienza percepisce una sorta di pausa eccessiva che disvela la presenza di un medium a causa del suo tempo di percorrenza o di elaborazione.
14. Cfr. P. Virilio, "Un monde surexposé"
15. Il termine inglese soltanto accoglie i tre cruciali significati del termine gioco: nell'accezione filosofica wittgensteiniana - per cui cfr. L. Wittgenstein,
Ricerche filosofiche -; nel senso in cui sia l'inglese che il francese non distinguono fra l'esecuzione musicale, la recita e il gioco; quest'ultimo, nell'accezione pedagogica più recente, destituito della fantasmatica funzione astraente e connotato come iperattività esplorativa e permanente sperimentalita’ induttiva di regole e frame preformati i e comportamentali.
16. cfr. L. Pancrazzi “sparire costruendo palafitte”
17. J. F. Lyotard, "Note su sistema ed ecologia", p. 202.
18. Sono costretto a rimandare a una mia intervista con l'artista del 1995
19. Cr. R. Krauss, Teoria e storia della fotografia, p. 12 eS. Sontag, Sulla
fotografia, p. 71.
20. Eccoci, anche noi, coi piedi sulla soglia fra postmodernita e neomoderno.
Fortuna che la nebulosa del post-strutturalismo è infinitamente ampia, variegata e stratificata in momenti di radicale alterità (lo pseudo-
postmodernismo di Jameson, il terrorismo cyber di Hakim Bey) da sfuggire opportunamente ai metrarecites essa stessa.
21. Prusuno e chiosa alle diarie sul ermeneutica testuale mi pare U. Eco, I limiti dell'interpretazione, cui rimando per le definizioni delle due sfere di significazione
22. Baudrilard, Lo scambio simbolico e la morte, p. 15.
23. Cfr. P. Splendore, Il ritorno del narratore.
24. Per un attraversamento significativo di queste tematiche cfr. T. Tozzi, Identità e anonimazione.
25. Tematica particolarmente frequentata in epoca recente; cfr. A. Criconia, Figure della demolizione; e sul tema dei non-luoghi, oltre al fondamentale M.
26. Augé, Nonluoghi, si veda G. Perec, Specie di spazi.
27. F. La Cecla, "Quel che resta del gioco", in Non è cosa, p. 63 e segg
28. J. Baudrillard, Della seduzione, p. 67.
29. Come è ben definito, sulle orme di Caillois, in M. Perniola, Transiti, p. 170
30. Maidonado, Reale e virtuale, 1145. Si rimanda allintero testo per illuminanti attraversamenti delle stesse tematiche svolte in questo saggio.
31. Secondo l'idea derridiana del testo (per noi qui anche in senso visivo), né vero né falso, come il farmakos è sia veleno che cura a seconda dell'uso. "Le vrai et le non-vrai sont des espèces de la répétition. Et il n'y a de répétition possible que dans le graphique de la suppléméntarité"; J. Derrida, "La pharmacie de Platon" (1968) ripubbl. in La dissémination, p. 210.