Alessandra Pioselli
12/02/2000
LORIS CECCHINI - PALCOSCENICI PER GIOCARE
Loris Cecchini ha iniziato modellando con le mani materie morbide e duttili, come la plastica, la resina, la gomma, la cellulosa. Poi si è messo a stampare fotografie su minuti e inusuali supporti, come la carta da chewing-gum, ad esempio. Quando si è trovato di fronte ad un computer, Cecchini ha mantenuto in un certo senso la stessa attitudine a manipolare la materia e a lavorare tra la piccola e la grande scala. Ora la materia è digitale, ma l'interesse per la consistenza fisica delle cose non è stato abbandonato, anzi, nel lavoro dell'artista un ruolo centrale ha la problematica degli oggetti, delle cose, e la loro doppia esistenza nei campi della realtà e della simulazione.
Fissare le cose
La prima serie di fotografie elaborate digitalmente, Pause in background (1996/97), vedeva l'artista, protagonista, collocarsi e perdersi in desolanti e macroscopici scenari casalinghi, negli interstizi di silenziosi elettrodomestici, nelle cavità gelate del freezer, nei buchi neri dei lavandini, tra gli intrighi di cavi elettrici e le reti metalliche delle sedie.
L'oggetto familiare diventa architettura abitabile, scrutato come se fosse visto attraverso una lente di ingrandimento o un binocolo, come se ci fosse un occhio fisso e persistente ad inquadrare tali oggetti, tali ambienti, tanto da renderli anonimi e impossibili da conoscere, così isolati e straniati da quel contesto circostante che li potrebbe connotare e ricondurre a un piano di significato. "E' come se le cose avessero inghiottito il loro specchio e fossero divenute trasparenti a sé stesse, completamente presenti a sé stesse, in piena luce, in tempo reale, in una trascrizione inesorabile..." (Baudrillard).
La fissità dell'occhio verso l'oggetto, dell'inquadratura che lo "scontorna" e lo allontana dal contesto di riferimento, porterebbe però a prima vista ad una sorta di metafisica dell'oggetto, dove la perdita di significato racchiuderebbe in sé molteplici rimandi di senso. Nel gioco scenico della Metafisica di De Chirico gli oggetti straniati, in sé stessi perfettamente credibili, acquistano una portata irreale e simbolica che scaturisce dalle loro relazioni. I simboli però non hanno significato, ma sono funzionali alla costruzione del mistero in sé, alla evocazione della suggestione del mistero. "Si trattava di un continuo giocare con l'aspetto fantastico delle cose...", dove gli oggetti venivano scelti "in quanto oggetti che fanno presentire oltre e rappresentano al tempo stesso l'impossibilità di vedere oltre" (Maltese). L'oggetto metafisico sollecita una spiegazione, ma al tempo stesso nega la possibilità di una soluzione. Se una verità esiste, è solo quella che la coscienza individuale può darsi, questo sembra dire il teatro assurdo e ironico di De Chirico.
L'oggetto di Loris Cecchini non è un oggetto metafisico, non ha ombre alle proprie spalle e nessuna valenza simbolica, pure fine a sé stessa. Assomiglia piuttosto all'oggetto vuoto di Baudrillard, che non è più l'oggetto di un processo conoscitivo o di una rappresentazione del soggetto. Questo almeno sembra essere l'orizzonte in cui agiscono i lavori dell'artista. Tuttavia nei collage fotografici di Cecchini sembra aprirsi uno spiraglio: simulare in modo imperfetto il reale, rendere evidente la finzione, mettere in gioco palesemente tutti i probabili rapporti tra realtà e "simulacro", serve a riattivare una lettura della realtà e a rimetterne in circuito possibili significati. Forse a ritrovare un valore fantastico alle cose.
Andando oltre, già il posizionarsi e l'autorappresentarsi all'interno di un contesto spaziale e architettonico è forse la dichiarazione di un bisogno di ritrovare un rapporto fisico e psicologico con lo spazio, una relazione, soggettiva, con le cose. E' interessante sottolineare, relativamente a questo discorso, come verso la fine del 1998 l'artista ritorni anche alla creazione di oggetti dotati di qualità tattili realizzati in materiali plastici (vetroresina, silicone). Dunque riprenda il fare "scultura" come espressione di una necessità di ricollocare le cose e le idee nello spazio.
Mettere in scena
Nella serie successiva No Casting (dal 1997), tuttora in corso, Cecchini ricostruisce altri scenari. L'ambiente è esterno, i paesaggi sono anonimi e urbani. Un senso di rovina, distruzione e illogicità li pervade. Qualcosa è successo, qualcosa sta per accadere. Figure umane sono impegnate in tranquille attività non coerenti con la catastrofe che colpisce le cose. I paesaggi sono modellini giocattolo, ricostruiti e fotografati in studio. In questa sorta di set cinematografico l'artista inserisce, secondo la sua regia, persone che ha casualmente fotografato per strada. Il montaggio, come nella serie precedente, è digitale.
Il meccanismo di messa in scena teatrale è essenziale nel lavoro di Cecchini tanto che i titoli sia delle fotografie che degli oggetti in materiali plastici sono sempre riferiti all'idea di palcoscenico (cast, stage, background), così come è centrale la struttura del montaggio che, nella produzione cinematografica, permette in fase di post-produzione di strutturare la storia in base ai materiali girati. Il procedimento di costruzione dell'immagine è infatti fondato sul montaggio di materiali fotografati (modellini e riprese dal vero) che vengono però accostati e sovrapposti come in un puzzle in cui i pezzi non combaciano perfettamente.
La dimensione dell'assurdo che ne scaturisce, che ricorda per certi versi il collage surrealista senza essere frutto come questo di una scrittura automatica, serve da collante allo sfasamento spazio-temporale, e qualitàtivo rispetto all'aderenza alla realtà, operato dal montaggio. L'immagine fotografica funziona come uno still da video: fissa una situazione spaziale e temporale all'interno di un possibile racconto che, tuttavia, sappiamo già non avere uno svolgimento lineare e consequenziale. La stessa situazione abbiamo infatti considerato essere incoerente, contenitrice di molteplici possibilità, differenze e salti logici. Sono questi cortocircuiti all'interno dell'immagine che stimolano chi guarda ad una "ricostruzione", soggettivamente logica, di un mondo fatto di frammenti.
Costruire modelli
"La modellazione è una strategia creativa e conoscitiva" (Maldonado). Alla costruzione di plastici giocattolo per la costruzione di immagini fotografiche si accosta nel lavoro di Cecchini, ad un certo punto, la realizzazione di una "scultura" con oggetti mutuati dai modelli delle scatole di montaggio. Il lavoro, Assembling Kit Box (1999), riproduce in scala reale un ipotetico kit di montaggio formato da oggetti - un motore, alcune eliche, due sedie da ufficio e due caschi da moto - che tra loro non hanno alcuna relazione sul piano della funzione. Alludendo a mondi d'uso diversi, seppure collegati da una comune aderenza all'universo tecnologico, concorrono a creare un'immagine unitaria che, al pari delle fotografie, è il risultato di una sommatoria di elementi afferenti a realtà differenti.
Nella pratica del modellismo si costruisce un mondo in base a un modello di realtà, ad una idea di quella che dovrebbe essere la realtà. Nella "scultura" il modello sostituisce il referente reale, si colloca al suo posto. Rispetto ai plastici divenuti paesaggi percorribili nelle fotografie, nell'Assembling la presenza fisicamente verificabile dell'oggetto/modello vero, ma al tempo stesso privo di peso, rende più diretta ed anche più ambigua la ricognizione di ciò che è la nostra esperienza del reale. La bicicletta in silicone,Stage evidence, realizzata da Cecchini nel 1998, dallo scheletro molle e dunque senza funzione, è anch'essa una sorta di fantasma dell'oggetto in quanto modello che ha perso il contatto biunivoco con il proprio referente.
Il modello nel lavoro dell'artista diventa un territorio per praticare una decostruzione del mondo, piuttosto che una costruzione, a differenza di quanto avviene nei plastici architettonici o nel gioco del modellismo, strategia in cui entra a pieno titolo il culto dell'ironia, o dell'idiozia come dice l'artista stesso. Idiozia in quanto non-sense, atteggiamento privo di programmaticità e di logica, al contrario ricco di aperture verso tutte le possibilità del gioco. Il gioco che è, in fin dei conti, una modalità operativa, come il modellismo o la messa in scena, che concede di costruirsi un mondo così come si vuole.
Fissare le cose
La prima serie di fotografie elaborate digitalmente, Pause in background (1996/97), vedeva l'artista, protagonista, collocarsi e perdersi in desolanti e macroscopici scenari casalinghi, negli interstizi di silenziosi elettrodomestici, nelle cavità gelate del freezer, nei buchi neri dei lavandini, tra gli intrighi di cavi elettrici e le reti metalliche delle sedie.
L'oggetto familiare diventa architettura abitabile, scrutato come se fosse visto attraverso una lente di ingrandimento o un binocolo, come se ci fosse un occhio fisso e persistente ad inquadrare tali oggetti, tali ambienti, tanto da renderli anonimi e impossibili da conoscere, così isolati e straniati da quel contesto circostante che li potrebbe connotare e ricondurre a un piano di significato. "E' come se le cose avessero inghiottito il loro specchio e fossero divenute trasparenti a sé stesse, completamente presenti a sé stesse, in piena luce, in tempo reale, in una trascrizione inesorabile..." (Baudrillard).
La fissità dell'occhio verso l'oggetto, dell'inquadratura che lo "scontorna" e lo allontana dal contesto di riferimento, porterebbe però a prima vista ad una sorta di metafisica dell'oggetto, dove la perdita di significato racchiuderebbe in sé molteplici rimandi di senso. Nel gioco scenico della Metafisica di De Chirico gli oggetti straniati, in sé stessi perfettamente credibili, acquistano una portata irreale e simbolica che scaturisce dalle loro relazioni. I simboli però non hanno significato, ma sono funzionali alla costruzione del mistero in sé, alla evocazione della suggestione del mistero. "Si trattava di un continuo giocare con l'aspetto fantastico delle cose...", dove gli oggetti venivano scelti "in quanto oggetti che fanno presentire oltre e rappresentano al tempo stesso l'impossibilità di vedere oltre" (Maltese). L'oggetto metafisico sollecita una spiegazione, ma al tempo stesso nega la possibilità di una soluzione. Se una verità esiste, è solo quella che la coscienza individuale può darsi, questo sembra dire il teatro assurdo e ironico di De Chirico.
L'oggetto di Loris Cecchini non è un oggetto metafisico, non ha ombre alle proprie spalle e nessuna valenza simbolica, pure fine a sé stessa. Assomiglia piuttosto all'oggetto vuoto di Baudrillard, che non è più l'oggetto di un processo conoscitivo o di una rappresentazione del soggetto. Questo almeno sembra essere l'orizzonte in cui agiscono i lavori dell'artista. Tuttavia nei collage fotografici di Cecchini sembra aprirsi uno spiraglio: simulare in modo imperfetto il reale, rendere evidente la finzione, mettere in gioco palesemente tutti i probabili rapporti tra realtà e "simulacro", serve a riattivare una lettura della realtà e a rimetterne in circuito possibili significati. Forse a ritrovare un valore fantastico alle cose.
Andando oltre, già il posizionarsi e l'autorappresentarsi all'interno di un contesto spaziale e architettonico è forse la dichiarazione di un bisogno di ritrovare un rapporto fisico e psicologico con lo spazio, una relazione, soggettiva, con le cose. E' interessante sottolineare, relativamente a questo discorso, come verso la fine del 1998 l'artista ritorni anche alla creazione di oggetti dotati di qualità tattili realizzati in materiali plastici (vetroresina, silicone). Dunque riprenda il fare "scultura" come espressione di una necessità di ricollocare le cose e le idee nello spazio.
Mettere in scena
Nella serie successiva No Casting (dal 1997), tuttora in corso, Cecchini ricostruisce altri scenari. L'ambiente è esterno, i paesaggi sono anonimi e urbani. Un senso di rovina, distruzione e illogicità li pervade. Qualcosa è successo, qualcosa sta per accadere. Figure umane sono impegnate in tranquille attività non coerenti con la catastrofe che colpisce le cose. I paesaggi sono modellini giocattolo, ricostruiti e fotografati in studio. In questa sorta di set cinematografico l'artista inserisce, secondo la sua regia, persone che ha casualmente fotografato per strada. Il montaggio, come nella serie precedente, è digitale.
Il meccanismo di messa in scena teatrale è essenziale nel lavoro di Cecchini tanto che i titoli sia delle fotografie che degli oggetti in materiali plastici sono sempre riferiti all'idea di palcoscenico (cast, stage, background), così come è centrale la struttura del montaggio che, nella produzione cinematografica, permette in fase di post-produzione di strutturare la storia in base ai materiali girati. Il procedimento di costruzione dell'immagine è infatti fondato sul montaggio di materiali fotografati (modellini e riprese dal vero) che vengono però accostati e sovrapposti come in un puzzle in cui i pezzi non combaciano perfettamente.
La dimensione dell'assurdo che ne scaturisce, che ricorda per certi versi il collage surrealista senza essere frutto come questo di una scrittura automatica, serve da collante allo sfasamento spazio-temporale, e qualitàtivo rispetto all'aderenza alla realtà, operato dal montaggio. L'immagine fotografica funziona come uno still da video: fissa una situazione spaziale e temporale all'interno di un possibile racconto che, tuttavia, sappiamo già non avere uno svolgimento lineare e consequenziale. La stessa situazione abbiamo infatti considerato essere incoerente, contenitrice di molteplici possibilità, differenze e salti logici. Sono questi cortocircuiti all'interno dell'immagine che stimolano chi guarda ad una "ricostruzione", soggettivamente logica, di un mondo fatto di frammenti.
Costruire modelli
"La modellazione è una strategia creativa e conoscitiva" (Maldonado). Alla costruzione di plastici giocattolo per la costruzione di immagini fotografiche si accosta nel lavoro di Cecchini, ad un certo punto, la realizzazione di una "scultura" con oggetti mutuati dai modelli delle scatole di montaggio. Il lavoro, Assembling Kit Box (1999), riproduce in scala reale un ipotetico kit di montaggio formato da oggetti - un motore, alcune eliche, due sedie da ufficio e due caschi da moto - che tra loro non hanno alcuna relazione sul piano della funzione. Alludendo a mondi d'uso diversi, seppure collegati da una comune aderenza all'universo tecnologico, concorrono a creare un'immagine unitaria che, al pari delle fotografie, è il risultato di una sommatoria di elementi afferenti a realtà differenti.
Nella pratica del modellismo si costruisce un mondo in base a un modello di realtà, ad una idea di quella che dovrebbe essere la realtà. Nella "scultura" il modello sostituisce il referente reale, si colloca al suo posto. Rispetto ai plastici divenuti paesaggi percorribili nelle fotografie, nell'Assembling la presenza fisicamente verificabile dell'oggetto/modello vero, ma al tempo stesso privo di peso, rende più diretta ed anche più ambigua la ricognizione di ciò che è la nostra esperienza del reale. La bicicletta in silicone,Stage evidence, realizzata da Cecchini nel 1998, dallo scheletro molle e dunque senza funzione, è anch'essa una sorta di fantasma dell'oggetto in quanto modello che ha perso il contatto biunivoco con il proprio referente.
Il modello nel lavoro dell'artista diventa un territorio per praticare una decostruzione del mondo, piuttosto che una costruzione, a differenza di quanto avviene nei plastici architettonici o nel gioco del modellismo, strategia in cui entra a pieno titolo il culto dell'ironia, o dell'idiozia come dice l'artista stesso. Idiozia in quanto non-sense, atteggiamento privo di programmaticità e di logica, al contrario ricco di aperture verso tutte le possibilità del gioco. Il gioco che è, in fin dei conti, una modalità operativa, come il modellismo o la messa in scena, che concede di costruirsi un mondo così come si vuole.