Achille Bonito Oliva
13/10/2000
Tiri Cecchini e la porta dell’attimo
Lacan pone l’arte sotto il segno parallelo della paranoia critica. Entrambe lavorano sulla ripetizione, sulla moltiplicazione e sulla dissociazione. L’identificazione iterativa dell’oggetto diventa il movimento di una conoscenza paradossale, l’apertura di uno spiraglio da cui non proviene nessuna luce. Loris Cecchini abita solo vicino alla porta, in una casa che sopporta unicamente l’arredo spoglio, naturalmente gommoso ed oliato, di una cerniera domestica che sembra promettere molte agnizioni, epifanie e illuminazioni. Invece da questo punto nessuno arriva.
Allora Loris Cecchini si bussa da solo, crea un’aspettativa incombente e confinante con il silenzio. Non abbandona mai la posizione d’attesa, non muove muscoli, ma si premunisce assumendo una posizione, quella del collo lungo, di un movimento retrattile che gli permette di sollevarsi da sé, di intravedere e contemporaneamente di stravedere.
Si sa, ed è probabile, che Cecchini è un uomo che non ha la testa sulle spalle, quindi neanche il collo e tutti se ne avvedono: tale evidenza viene insegnata anche ai bambini nelle scuole e questo è denunciato come segno di irresponsabile asocialità. L’artista, come dice Thomas Mann, non è un buon riformatore, in quanto ha un amore particolare per la volgarità e la vita, che poi sono la stessa cosa.
Egli non si organizza con scorte , non pratica accumuli di viveri, né aspetta qualcuno che gli porti doni adatti per lo scambio, perché non ha occhi per sentire né orecchie per vedere:
Perciò si bussa da solo, introduce così, oltre la porta, il fantasma iterativo che entra e esce.
Come la tartaruga, Loris cecchini si fa carico della porta, si carica la porta sulle spalle , corazzato dalla sua leggerezza e circumnaviga con il collo intorno e fuori, pronto a ritirarsi appena effettuato il colpo d’occhio. Il colpo d’occhio termina, inevitabilmente, nel suo punto iniziale.
L’artista con il collo lungo fa la ruota di pavone e si trova con la vista a scoprire la ripetizione, il proprio corpo come un simulacro in attesa dietro la porta.
Insomma, Loris Cecchini non aspetta mai visite, così si consola aprendosi e chiudendosi dietro e fuori la porta che funziona in tal modo, da specchio.
E’ lì sul guscio concavo e speculare, che il passato seppellisce il proprio futuro e che il colpo d’occhio fonda la svista e l’allucinazione perversa di molte ubiquità.
Mettere il collo fuori dalla porta significa l’esposizione del perturbante, come dire che Lacan apre e trova a da aspettarlo Freud! Comunque Cecchini si carica il collo sulle spalle e continua la propria peripezia, ponendosi in ascolto di altre apparizioni, pronto ad altre agnizioni, sollecito nello spalancare la porta sull’assenza dell’altro.
Così il cigolio di gomma si misura con il rumore sommesso della risata, risata d’artista, quella di Zarathustra, che sa come aprire significhi soltanto spostare aria e porre inevitabilmente la porta sotto il segno del tempo: la porta dell’attimo .
Qui ormai spazio e tempo non coincidono più, non giocano felici coincidenze. La prudente geometria dello spiraglio non contiene l’irruzione del fantasma che precipita velocemente e tumultuosamente – ed è il caso di dirlo – a rotta di collo.
L’irruzione avviene senza ragione, altrimenti non sarebbe possibile ridere, non sarebbe possibile innescare il disinibente processo del riso che argina così il confronto e l’avvento dell’assenza.
Anche perché Lacan ha avvertito l’artista che il reale è impossibile.
Allora Loris Cecchini diventa la pratica del collo lungo che ingigantisce la propria circumnavigazione approfittando della conferma ricevuta, confortata dalla notizia che fuori c’è il deserto e forse nemmeno questo…
Così l’arte di Loris Cecchini diventa il risarcimento di un’attesa che non approda a nessuna visita, una maniera di giocare il doppio ruolo di ospite, di chi inganna niccianamente l’attesa, parlando ad alta voce e contemporaneamente tacendo per fondare il miraggio di un incontro.
Umoristicamente Loris Cecchini si mette all’opera seguendo il nuovo adagio che chi cerca non trova. In tal modo egli si procura e nello stesso tempo pratica l’allontanamento da ogni incontro, la riduzione del reale al puro ingombro, al meccanico movimento di aprire e chiudere la porta.
Aprendo e chiudendo, la porta dell’attimo diventa il ventaglio di carta che agita l’aria, che copre e scopre, nel suo movimento frastagliato, alternanze di particolari, lampi di figure e scoppi di segni.
Senza sforzo e senza lavoro, con molto sfarzo, che poi non significa senza perizia, l’artista ripetutamente si solleva sul proprio collo, con lo stile del collo, producendo con leggerezza il senso di un proverbio Zen : “il battito per l’aria di una mano sola”.
Loris Cecchini ha una mano sola, concentrata e fissata nella perizia, nell’uso folgorante e notturno della mano mancina. E’ proverbialmente sinistra la mano d’artista, rafforzata da una risata che isola e amplifica il gesto. Appagato dalla propria incompletezza, l’artista perfeziona la propria mutilazione tagliandosi, ove mai fosse cresciuta, la mano destra dentro i battenti della porta.
Insomma Cecchini mette la mano destra dentro la porta, che poi significa fuori dal quadro.
Disarmatosi da solo, egli impedisce che la mano destra sappia quello che fa la sinistra, perdendo così ogni riserbo e lasciando impudicamente bene in vista altre opere fatte ad arte.
Allora Loris Cecchini si bussa da solo, crea un’aspettativa incombente e confinante con il silenzio. Non abbandona mai la posizione d’attesa, non muove muscoli, ma si premunisce assumendo una posizione, quella del collo lungo, di un movimento retrattile che gli permette di sollevarsi da sé, di intravedere e contemporaneamente di stravedere.
Si sa, ed è probabile, che Cecchini è un uomo che non ha la testa sulle spalle, quindi neanche il collo e tutti se ne avvedono: tale evidenza viene insegnata anche ai bambini nelle scuole e questo è denunciato come segno di irresponsabile asocialità. L’artista, come dice Thomas Mann, non è un buon riformatore, in quanto ha un amore particolare per la volgarità e la vita, che poi sono la stessa cosa.
Egli non si organizza con scorte , non pratica accumuli di viveri, né aspetta qualcuno che gli porti doni adatti per lo scambio, perché non ha occhi per sentire né orecchie per vedere:
Perciò si bussa da solo, introduce così, oltre la porta, il fantasma iterativo che entra e esce.
Come la tartaruga, Loris cecchini si fa carico della porta, si carica la porta sulle spalle , corazzato dalla sua leggerezza e circumnaviga con il collo intorno e fuori, pronto a ritirarsi appena effettuato il colpo d’occhio. Il colpo d’occhio termina, inevitabilmente, nel suo punto iniziale.
L’artista con il collo lungo fa la ruota di pavone e si trova con la vista a scoprire la ripetizione, il proprio corpo come un simulacro in attesa dietro la porta.
Insomma, Loris Cecchini non aspetta mai visite, così si consola aprendosi e chiudendosi dietro e fuori la porta che funziona in tal modo, da specchio.
E’ lì sul guscio concavo e speculare, che il passato seppellisce il proprio futuro e che il colpo d’occhio fonda la svista e l’allucinazione perversa di molte ubiquità.
Mettere il collo fuori dalla porta significa l’esposizione del perturbante, come dire che Lacan apre e trova a da aspettarlo Freud! Comunque Cecchini si carica il collo sulle spalle e continua la propria peripezia, ponendosi in ascolto di altre apparizioni, pronto ad altre agnizioni, sollecito nello spalancare la porta sull’assenza dell’altro.
Così il cigolio di gomma si misura con il rumore sommesso della risata, risata d’artista, quella di Zarathustra, che sa come aprire significhi soltanto spostare aria e porre inevitabilmente la porta sotto il segno del tempo: la porta dell’attimo .
Qui ormai spazio e tempo non coincidono più, non giocano felici coincidenze. La prudente geometria dello spiraglio non contiene l’irruzione del fantasma che precipita velocemente e tumultuosamente – ed è il caso di dirlo – a rotta di collo.
L’irruzione avviene senza ragione, altrimenti non sarebbe possibile ridere, non sarebbe possibile innescare il disinibente processo del riso che argina così il confronto e l’avvento dell’assenza.
Anche perché Lacan ha avvertito l’artista che il reale è impossibile.
Allora Loris Cecchini diventa la pratica del collo lungo che ingigantisce la propria circumnavigazione approfittando della conferma ricevuta, confortata dalla notizia che fuori c’è il deserto e forse nemmeno questo…
Così l’arte di Loris Cecchini diventa il risarcimento di un’attesa che non approda a nessuna visita, una maniera di giocare il doppio ruolo di ospite, di chi inganna niccianamente l’attesa, parlando ad alta voce e contemporaneamente tacendo per fondare il miraggio di un incontro.
Umoristicamente Loris Cecchini si mette all’opera seguendo il nuovo adagio che chi cerca non trova. In tal modo egli si procura e nello stesso tempo pratica l’allontanamento da ogni incontro, la riduzione del reale al puro ingombro, al meccanico movimento di aprire e chiudere la porta.
Aprendo e chiudendo, la porta dell’attimo diventa il ventaglio di carta che agita l’aria, che copre e scopre, nel suo movimento frastagliato, alternanze di particolari, lampi di figure e scoppi di segni.
Senza sforzo e senza lavoro, con molto sfarzo, che poi non significa senza perizia, l’artista ripetutamente si solleva sul proprio collo, con lo stile del collo, producendo con leggerezza il senso di un proverbio Zen : “il battito per l’aria di una mano sola”.
Loris Cecchini ha una mano sola, concentrata e fissata nella perizia, nell’uso folgorante e notturno della mano mancina. E’ proverbialmente sinistra la mano d’artista, rafforzata da una risata che isola e amplifica il gesto. Appagato dalla propria incompletezza, l’artista perfeziona la propria mutilazione tagliandosi, ove mai fosse cresciuta, la mano destra dentro i battenti della porta.
Insomma Cecchini mette la mano destra dentro la porta, che poi significa fuori dal quadro.
Disarmatosi da solo, egli impedisce che la mano destra sappia quello che fa la sinistra, perdendo così ogni riserbo e lasciando impudicamente bene in vista altre opere fatte ad arte.